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Chi erano gli ebrei siciliani?
di Mariarosa Malesani
Narra una leggenda che dopo aver distrutto il Tempio di
Gerusalemme ( 70 D.C. ), il malvagio Tito riempì tre
navi di uomini e donne ebrei e li abbandonò al mare
senza un capitano. Dio mandò una Tempesta e le fece
naufragare in tre reami: la prima a Genova, la seconda
in Sicilia e la terza in Africa.
L’arrivo di gruppi di ebrei a Siracusa è difficile da
datare , poiché ci sono pochissime testimonianze dirette
dal momento che mancano documenti cartacei ed
epigrafici; solo negli ultimi anni si sono trovati
reperti che aprono qualche spiraglio in più. Molta parte
della storia siracusana manca dei necessari supporti per
poterla raccontare approfonditamente dal momento che
calamità naturali, invasioni ed anche incuria hanno
cancellato archivi, raccolte e reperti. Per quanto
riguarda gli ebrei abbiamo una difficoltà in più perché,
dopo la cacciata del 1492, vennero cancellate le tracce
della loro più che millenaria permanenza, quasi con
accanimento, soprattutto da parte dell’autorità
religiose e dalla Santa Inquisizione. Si ha anche un
tentativo di oscuramento degli edifici civili e
religiosi: la sinagoga viene trasformata nella chiesa di
s. Filippo Apostolo e pure S. Giovannello occupa il
posto di luogo di culto ebraico.
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Siracusa - Chiesa di S.
Giovanni Battista |
Dietro questa chiesa è stato ritrovato in via Alagona,
sotto il palazzo Bianca, un ipogeo che ha le
caratteristiche di un bagno rituale ebraico, il miqweh.
Il ritrovamento di un documento notarile del 1496 ha
confermato che la sinagoga medievale di Ortigia era
l’attuale S. Giovanni Battista e quindi il miqweh di Via
Alagona è il proseguimento posteriore dell’area della
sinagoga. Notizie, comunque, da confermare, anche se già
sicure.
Secondo l’archeologia il primo ebreo siciliano è
documentato dalle catacombe di Roma: Amachios da
Catania. Vive intorno al III sec. a.C. e porta un nome
greco che è la traduzione di Shlomo.
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Siracusa
Chiesa di S. Filippo Neri

Siracusa
Il "Miqweh" ubicato sotto la Cripta della Chiesa di San
Filippo Apostolo, noto anche come "Fonte delle
Puerpere".

Siracusa -
Bagno ebraico

Siracusa
Bagno ebraico vasche del miqweh |
Come e quando, dunque, arrivarono i primi ebrei a
Siracusa?
Ricordando che Siracusa era un punto di transito e di
sosta per quanti venivano dall’Oriente è facile
presumere che i giudei fuggendo, dopo l’occupazione
romana conclusa da Pompeo nel 59 a.C., siano giunti in
questa città. Notizie, poco confermate, danno gli ebrei
presenti fin dal II sec a.C. e anche che vennero come
prigionieri della Guerra Giudaica; Gioseffo ne conta
fino centomila venduti come schiavi e mandati dai
patrizi romani, che li avevano comprati, a coltivare la
terra. Da schiavi divennero liberti e quindi coloni e
data la loro naturale capacità di fare affari, molti
riuscirono ad arricchire attirandosi l’odio dei
residenti e cominciò così un rapporto difficile che più
tardi li oppose, principalmente, ai cristiani.
La presenza di questa comunità si trova dapprima nella
zona di Acradina, dove resti di ogni genere dimostrano
che vi si mescolavano tutte le religioni e tratteggiano
il difficile passaggio dalla cultura antica a quella
medievale. Vi sono ipogei ebraici, ebraico- cristiani,
inumazioni pagane che testimoniano una società
siracusana notevolmente differenziata che mantiene il
suo ruolo di crogiolo politico- commerciale- religioso,
approdo naturale anche del messaggio cristiano.
Approdo che toccò Marciano nel 39 ,mandato da S. Pietro
che, trovandosi ad Antiochia, voleva espandere il
messaggio cristiano nelle principali città dell’Impero.
In Occidente, Siracusa era la città della Sicilia che
fungeva da ponte per Roma ed ospitava, oltre ai nativi,
i latini e moltissimi ebrei.
Marciano si mise all’opera e in poco tempo il numero dei
convertiti si fece sempre più grande. E, dice il
Privitera, scelse come luogo di culto una grotta
sotterranea presso la mura di Acradina, vicina ai templi
di Giove e di Bacco e ai Bagni di Venere e soprattutto
alla Sinagoga degli Ebrei, “ tollerati e viventi in
disparte in quella contrada”. Lo scopo era quello di
tentare di convertire insieme i gentili e gli ebrei.
Pare comunque che tutti i nuovi arrivati in città
trovassero rifugio in caverne e ricoveri che si
trovavano in quella zona. Queste grotte , chiamate
Pelopie o Pelopee ( dal nome di un architetto) o forse
dalle parole pelos (nero) e opi (antro) per sottolineare
l’oscurità delle grotte che erano profonde ed
interminabili, quasi certamente antichi acquedotti
dell’epoca greca ed avevano ospitato comunità ebraiche
dopo la distruzione del Tempio, assumendo la
denominazione di “ grotte dei poveri”.
Molte notizie ci sono state offerte dall’encomio di S.
Marziano, un panegirico elaborato nel VII sec. per
ribadire la fondazione della Chiesa siracusana da parte
di s. Pietro, che offre tra l’altro una testimonianza
della presenza molto consistente di ebrei che nel III
sec. resistevano all’evangelizzazione.
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Siracusa
Chiesa di San Giovanni Battista

Siracusa
Chiesa di San Giovanni Battista
Iscrizione ebraica
traduzione
"alla sinagoga di Siracusa
fondata con giustizia e fede"

Siracusa
Interno della Chiesa di San Giovannello

Purificazione delle stoviglie |
Gli ebrei sotto la dominazione bizantina
Si possono distinguere due fasi dell’insediamento
ebraico: la prima va dall’epoca repubblicana fino alla
conquista araba nel IX sec. e la seconda dall’invasione
mussulmana fino all’espulsione del 1492. Gli arabi
favoriscono l’immigrazione di consistenti gruppi di
ebrei dal Nord Africa e nasce un ebraismo di stampo
magrebino che scrive l’arabo con l’alfabeto ebraico e
che ha lasciato a Siracusa tracce nella Toponomastica,
nell’onomastica, nel dialetto, nella cucina e
nell’artigianato, in sintesi in tutto ciò che definisce
comunemente l’identità siciliana. Gli ebrei nel XIV sec.
e nei successivi erano a Siracusa la comunità più
numerosa di Sicilia e si parla di 5000 o addirittura
8000 presenze.
Nell’età di Gregorio Magno la tolleranza e la relativa
liberalità del Papa, convinto della necessità di
convertire gli ebrei, ma senza metodi coercitivi, in
contrasto con la posizione antisemita degli imperatori
bizantini e in particolare di Giustiniano, che operarono
un declassamento tramite la loro esclusione del cursus
honorum e dal divieto di possedere schiavi. A
quell’epoca gli ebrei non erano solo proprietari di
terre, affittuari delle mansae delle chiese,ma
soprattutto artigiani e commercianti di schiavi,
attività che essi mantennero per tutto il medioevo.
Le lettere di Gregorio Magno testimoniano che una
calcolata tolleranza veniva esercitata nei confronti dei
mercanti e soprattutto di schiavi, cui le autorità
bizantine riconoscevano un’importante funzione economica
a beneficio delle classi più abbienti. La relativa
moderazione rispondeva a precise esigenze politiche; da
un lato la conservazione della pace sociale e dall’altro
la necessità di procurare manodopera, indispensabile per
la sopravvivenza delle province bizantine. L’ambiguità
della condizione degli ebrei nell’impero bizantino,
discriminati per motivi religiosi dalle leggi, ma
tollerati per i ruoli economici insostituibili, rimane
una costante della loro storia nei paesi della diaspora.
A Siracusa alla fine del VII sec. gli ebrei si spostano
dalla terraferma in Ortigia, nel Quartiere che ancora
oggi si chiama Giudecca, per potersi difendere meglio
dalle incursioni saracene.
Dagli atti notarili e dai documenti della Genizah si
evince che gli ebrei siracusani praticavano il
commercio, le attività di tessitori di seta, di tintori
e conciatori di pelli, medici banchieri, ingegneri,
astronomi, agricoltori e naviganti e che la loro
attività apportò benefici economici alla città. Durante
l’impero bizantino a Siracusa c’era il IV° dei nove
Baffi, cioè un grande opificio imperiale per la
tessitura e la tintura in porpora di lane e sete.
A Siracusa, divenuta nel 663 capitale dell’impero, si
rivolse l’attenzione di Roma, del Papato e di Bisanzio
che videro nella città l’ultimo baluardo della
resistenza antimussulmana. Mercanti greci, siriani ed
ebrei sono protagonisti della prosperità della città
scelta da Costante come capitale dell’impero in un’epoca
di rilancio dell’economia che avrebbe fornito alla corte
notevoli mezzi finanziari.
Ortigia diventa il luogo più rispondente alle esigenze
difensive,strategiche ed economiche e comincia a
cambiare il suo tessuto urbanistico. Il tempio pagano di
Atena diventa Cattedrale ad opera del vescovo s. Zosimo.
E’ probabile che in questo frangente la comunità ebraica
si sia trasferita da Acradina ad Ortigia e nella vita di
s. Zosimo si legge che chiesero di poter edificare una
sinagoga al posto di quella distrutta dai Vandali ( tra
il 457 e il 536 ), ma ottennero un diniego. Il permesso
venne concesso per intercessione di un notabile
bizantino a dimostrazione che il potere laico favoriva
le attività degli ebrei mentre quello religioso negava
concessioni a coloro che chiamavano nemici di Dio. Lo
spostamento in Ortigia, oltre che per motivi di difesa
dalle incursioni arabe, era motivato dalla necessità di
essere vicini ai centri del commercio e dei poteri
politici e religiosi.
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Siracusa
Palazzo Montalto - la trifora

Siracusa
Palazzo Montalto

Calendario ebraico
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La Giudecca di Siracusa
Il quartiere, sito nella parte orientale dell’isola,
perché idealmente rivolto verso Gerusalemme, aveva una
connotazione comune a tutti i quartieri giudaici. Gli
ebrei siracusani erano già stanziati ad Ortigia quando
la città subì il primo assedio arabo nell’827 ( la
conquista definitiva avviene nell’877).
La Giudecca era autosufficiente, comprendeva le botteghe
e il mercato, l’ospedale, il macello, la casa dei
limosinieri, la sinagoga, i bagni. Ai confini c’erano
cancelli d’accesso che venivano chiusi al tramonto ed
era proibito uscirne. Il divieto imposto nel periodo di
maggiori turbolenze fra le due etnie, ebrei e
siracusani, aveva lo scopo di evitare, almeno di notte,
il verificarsi di risse e tumulti frequenti durante il
giorno. La convivenza, salvo brevi parentesi e solo in
forza di regi decreti, non fu mai pacifica.
Ancora oggi Siracusa è l’unica città siciliana ad avere
un quartiere chiamato così e in Italia sono pure poche;
la più celebre è la Giudecca di Venezia ( il nome
potrebbe derivare dall’isola che era un bagno penale e
quindi il nome deriverebbe dal veneto judegà (giudicato
)).
Questo grosso quartiere è una specie di quadrilatero
delimitato dalla via Maestranza a nord, dalla via Roma a
Ovest, dalla via Larga a sud e dalla via Alagona a est.
Ha mantenuto il vecchio tracciato della città greca, in
difformità dalla Graziella che mantiene l’impronta araba
e dal Duomo e Castello che rivelano l’origine medievale
e barocca. E’ percorso in tutta la sua lunghezza
dall’attuale via della Giudecca e dai caratteristici
vicoli, dove gli ebrei, un tempo, riutilizzando le
vecchie strutture inserirono i loro edifici religiosi e
civili.
Il quartiere era ricco di una dozzina di sinagoghe,
fatte con pietre da taglio e pilastri di marmo, segno
che nonostante i divieti fatti nei vari momenti storici
di poter restaurare gli edifici o abbellirli, gli ebrei
siracusani godevano perlomeno di “distrazioni” delle
autorità in cambio dei vantaggi economici che
assicuravano alla città. Era, quindi, molto ben tenuto.
La sinagoga principale, secondo il Privitera e il
Capodieci, sorgeva sul perimetro dell’attuale s. Filippo
Apostolo; c’è pure il bagno sotto Casa Bianca e la
cisterna del vicolo Oliva che insieme alla sorgente
sotto s.Filippo fanno pensare ai bagni purificatori.
Di fronte alla sinagoga principale c’era uno dei mercati
più popolosi della città. Nei tempi di maggiore
tolleranza questo mercato era frequentato dai siracusani
che vi andavano ad acquistare soprattutto pelli e stoffe
colorate. Le beccherie e i trappeti dell’olio creavano
un gran movimento di affari; anche il vino era molto
apprezzato e gli ebrei coltivavano la vite nel quartiere
di S.Lucia. Secondo la legge giudaica essi non dovevano
vendere vino annacquato o mescolato con qualità
inferiori, non dovevano vendere frutta e verdura con
prezzi superiori a quelli imposti. C’era anche il
secondo mercato del pesce della città.
Gli ebrei furono dei bravi artigiani e commercianti ,
vendevano di tutto dalle candele alle botti, qualsiasi
tipo i corda e qualunque tipo di tessuto, dagli oggetti
di uso quotidiano ai generi alimentari. Erano senz’altro
la parte più attiva della popolazione siracusana di cui
rappresentavano un quarto.
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I Normanni e gli Aragonesi
La giudecca nel periodo arabo aveva una funzione
residenziale e quindi si dovettero studiare delle difese
dalle invasioni barbariche e dall’attacco delle
intemperie, ma con la conquista normanna assunse sempre
più quella di centro religioso e così continuò sotto gli
Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi. I normanni scesero
in Sicilia anche con l’intento politico di affermare il
Cristianesimo e perciò limitarono la libertà di idee e
di attività degli ebrei, della quale avevano goduto
sotto gli arabi. Intorno al 1180 promossero la
costruzione della Chiesa di s. Giovanni Battista, le cui
forme attuali sono invece quattrocentesche.
Questo atteggiamento delle autorità portarono i primi
contrasti con la popolazione cristiana che, sotto
Federico II di Svevia, divennero tumulti. Gli ebrei
erano considerati “servi camerae regis”, anche se
godevano dei diritti civili.
Gli Aragonesi li sottoposero a dure leggi e limitarono
la libertà di culto, imposero tasse e tributi
straordinari , oltre la “Gesia” che già versavano agli
arabi per essere tollerati. Nel 1312 Federico II
d’Aragona impose agli ebrei di risiedere in quartieri
separati da quelli cristiani e posti in zone marginali,
ma a Siracusa, per la sua particolare condizione di
città fortezza, il borgo ebraico si trovava dentro le
mura ed aveva case modeste, al massimo con due piani,che
resistettero molto bene al terremoto del 1693. Come
abbiamo accennato, gli aragonesi vi destinarono gli
ebrei costringendoli a vivere in umili abitazioni
incastrate tra gli enormi volumi architettonici dei
conventi domenicani, degli agostiniani, delle
carmelitane dove sarebbe stato molto difficile fare
proseliti della religione ebraica tra i siracusani, al
contrario era facile agli inquisitori domenicani
sorvegliarli. Il re Federico II ordinò anche che
dovessero avere un macello proprio nella zona orientale
e che al vespro non potevano uscire dal ghetto ( nome
che deriva dal quartiere veneziano riservato agli ebrei
che occupava la zona della fonderia, detto getto ).
Vengono obbligati a portare un contrassegno sui loro
abiti e nelle insegne delle botteghe, la “rotella
Rossa”.
Benché da secoli fossero insediati nella città,erano
sempre considerati stranieri, anche perché
l’emarginazione li faceva rinchiudere sempre più nella
loro comunità e in più le loro leggi e i loro riti
continuavano a differenziarli, ma la loro laboriosità e
il loro contributo alla vita commerciale e artigianale
li faceva tollerare, così come accadeva al tempo dei
bizantini. Erano costretti a prestare dei servizi
gravosi e umilianti come spazzare i castelli e le
caserme, vuotare le fogne e prestare la ronda di notte.
Gli ordinamenti del re Federico II d’Aragona furono
rinnovati dai re Martino e Ferdinando I, ma il re
Alfonso mitigò questo divieto e prima nel 1431 e poi nel
1450 stabilì con il rabbino messinese, Mosè Bonavoglia,
rappresentante di tutti gli ebrei siciliani, che
potevano liberamente vivere dentro e fuori dal ghetto e
non erano obbligati ad assistere alle feste cristiane,
come succedeva in precedenza: tutto in cambio di un
donativo di 10.000 fiorini
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L’editto
di espulsione del 1492
Ma l’odio del popolo contro di loro era antico e
radicato e spesso nelle piazze e nei mercati si
attaccavano baruffe, si eccitavano risse. Erano fatti
segno di ingiurie e motti che li facevano irritare e
poiché erano sempre in minoranza e passavano dalla parte
del torto. Inaspriti cercavano in tutti i modi di
vendicarsi commettendo misfatti. L’animosità si faceva
sempre più aspra e la Santa Inquisizione era sempre più
immanente, tanto che sembrava che da un momento
all’altro potessero essere trucidati a furore di popolo.
(Ci furono massacri a Scicli, Modica e in altri centri…)
Perciò, nel 1455, molti dei
ricchi ebrei, con la scusa di fare un pellegrinaggio a
Gerusalemme, cercarono di fuggire con tre navi, ma
furono scoperti e vennero arrestati e puniti. La
situazione aveva raggiunto il culmine in tutta la
Sicilia e le ordinanze regali non avevano più efficacia
e non riuscivano ad impedire spargimenti di sangue.
A Siracusa il frate francescano Giovanni Pistoia,
predicando la quaresima del 1487, si scagliò così
violentemente contro gli ebrei che se le autorità
cittadine non avessero aumentato le forze armate, si
sarebbe fatta una strage.
I tumulti, sempre più frequenti e l’intolleranza verso
le religioni non cristiane, l’enorme potere economico e
quindi potenzialmente politico che i capi avevano
acquisito, convinsero re Ferdinando il Cattolico ad
emanare un editto, il 31 marzo 1492, di espulsione dai
suoi stati di tutti gli ebrei.
Il decreto reale fu applicato con estrema durezza e
anche se fu dettato da necessità contingenti, non mancò
di suscitare pietà verso un popolo così sventurato, ma
soprattutto ci si accorse quale grave danno all’economia
del regno si era recato spopolando la Spagna e la
Sicilia Solo in poche città siciliane, e quasi sempre in
quelle con le più vaste comunità ebraiche, restarono
diversi giudei perché convertiti, e fra queste
soprattutto Siracusa. Sarebbe stato un disastro per
l’economia e il commercio della città se il vescovo
Dalmazio da Sandionisio non si fosse adoperato a
convertire al cristianesimo numerosi giudei, che così
ottennero dal Governatore della Camera Reginale,
Giovanni Cardenas, il permesso di rimanere. Da allora i
giudei convertiti (Marranos) ottennero gli stessi
diritti dei cittadini di Siracusa e molte famiglie a
seguito di questo atto rimasero a Siracusa per non
affrontare ulteriori difficoltà e per non lasciare gli
affari, ma accettarono mal volentieri la fede cattolica
per convenienza e tranquillità familiare.
Fattisi cristiani entrarono di diritto a far parte della
cittadinanza siracusana, ma molti di loro in segreto
rimasero di fede ebraica e continuarono a professare la
loro religione nel chiuso delle case. Se l’intenzione
dei re cattolici era di cancellare la forte presenza
ebraica nell’isola, il fallimento fu totale. Ciò che
ottennero fu solo la distruzione dell’ebraismo che
operava alla luce del sole. Fu distrutta la qualità e il
danno fu enorme, non solo economico, ma di ordine
culturale e morale. Non scomparvero solo i medici ebrei,
gli artigiani ebrei, i mercanti ebrei scomparvero anche
gli intellettuali e gli studiosi, i libri, la
civiltà…Gli ebrei come etnia, come professione
religiosa, come insieme di valori, furono totalmente
cancellati dalla storia dalla Sicilia. L’espulsione
della comunità ebraica, così radicale da non lasciare
alcuna sopravvivenza nei secoli successivi, non ebbe per
l’isola le disastrose conseguenze che si registrarono in
Spagna, grazie alla facilità con la quale furono accolte
le numerose e indisturbate conversioni. Gli ebrei
convertiti continuarono le attività precedenti e le
conseguenze furono meno pesanti.
Il termine ultimo per la partenza dalla Sicilia, per chi
non si fosse convertito, era il 12 gennaio 1493. l
momento di lasciare l’isola, l’ebreo doveva avere
alienato integralmente i propri beni e regolato ogni
pendenza economica con i cristiani, e sanato ogni
pendenza con l’erario . A conclusione di ciò poteva
portare ciò che rimaneva sotto forma di lettera di
cambio, essendo vietato l’asporto di moneta e di
animali. Si poteva portare il vestito indossato, un po’
di vettovaglie, una coperta di lana, due paia di
lenzuola e la somma di tre tarì, portata a sei per i più
ricchi. Era tutto ciò che rimaneva di una intera vita
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La comunità dopo il 1492
Non solo per evitare le espulsioni, ma anche quando fu
abbandonata la speranza che il bando fosse revocato,
molti preferirono convertirsi e ritornare piuttosto che
continuare a vagare.
I cacciati attraversarono lo stretto e si stabilirono in
Calabria nella speranza che le cose tornassero come
prima, ma nel 1542 furono espulsi anche da Regno di
Napoli e proseguirono il loro viaggio; alcuni andando
verso oriente fino a Salonicco, Costantinopoli, Cipro e
Gerusalemme; altri proseguirono verso nord ed andarono a
Roma, a Venezia, a Padova , in altre cittadine del
Veneto e a Lugo di Romagna, come si evince da lapidi dei
cimiteri ebraici, con nomi che riportano quelli di ebrei
siracusani.
Dopo il 1492 i rapporti tra cristiani ed ebrei divennero
sempre più difficili. Nel 1553 il Papa Giulio III
condannò il Talmud come opera anticristiana e ne
prescrisse il rogo, creando una ferita insanabile
nell’animo degli ebrei in tutta Italia. Nel 1555 poi, in
pieno Concilio di Trento, la svolta antiliberale della
Controriforma investì in pieno anche le comunità
ebraiche: papa Paolo IV emanò infatti una durissima
bolla ( Cum nimis absurdum) nella quale venivano
elencati una serie di obblighi e restrizioni che i
governanti dei vari stati avrebbero dovuto applicare nei
confronti dei giudei.
La popolazione ebraica in Sicilia sul finire del XV sec.
è stata calcolata di 37.000 persone all’incirca, che
vivevano in sei città Palermo (5000), Siracusa (5000),
Trapani, Marsala, Messina e Sciacca. Queste ultime città
avevano un numero di componenti che variavano tra i tre
e i due mila anime.
Battezzarsi significava cedere alla corona quasi la metà
dei propri beni, senza contare che non per questo non si
sarebbe stati visti con sospetto e di malocchio e
tuttavia vi furono quelli che, pur di non affrontare
l’espulsione, si convertirono.
Fino alla fine del secolo si hanno poche notizie degli
ebrei convertiti di Sicilia. Lo stesso Sant’Uffizio pare
ignorarli. Sul finire del ‘500, un editto però pone di
nuovo in luce il problema. Si proibisce ai conversi di
lasciare l’isola senza uno speciale permesso, pena la
scomunica e la confisca dei beni. Il 10% dei beni
confiscati sarebbe servito per ricompensare gli
informatori, mentre il Sant’Uffizio avrebbe potuto
imporre multe a suo piacimento.
Nei decenni successivi si cominciò a ritenere che
l’espulsione degli ebrei e i limiti imposti ai conversi
avessero costituito un ulteriore colpo per la declinante
economia siciliana.
Nel 1695 gli ebrei furono invitati a rientrare, ma
memori del passato si guardarono bene dal rientrare . Un
nuovo invito, non accolto, assai più liberale del
precedente,si ebbe nel 1727. Poi nel 1729 uscì un
Indulto, Editto pubblicato in Messina, in cui il re
dichiarava la città Porto Franco e invitava gli ebrei ad
abitare colà, concedendo diversi privilegi per un
maggiore ampliamento del commercio.
Ma per una sotterranea opera della Chiesa o per altro,
il porto franco non si fece e a Messina non si vide
alcun ebreo.
Dopo varie esperienze gli ebrei vengono nuovamente
espulsi dal regno di Napoli il 30 luglio 1747 ed anche
la Sicilia fu colpito dal bando. Nel 1784 Ferdinando IV
emanò un altro decreto in occasione della creazione del
porto franco a Messina col quale era concesso agli ebrei
di stabilirsi nella città, ma non venne nessuno. La
Sicilia e gli ebrei si erano detti addio nel 1493 e non
si riallacciò più il legame allora così dolorosamente
troncato.
Con l’arrivo dei francesi dopo il Trattato di
Campoformido si diffuse in tutta Italia una nuova
posizione molto più tollerante, vengono aboliti i Ghetti
e tolto l’obbligo di portare il contrassegno sugli abiti
e sulle insegne delle botteghe.
Negli ultimi secoli avevano di volta in volta acquistato
e perso il diritto di esercitare professioni come quella
dell’avvocato e del farmacista o del politico e di poter
acquistare terreni. Dopo l’apertura dei ghetti si
inserirono rapidamente nella società, cambiando
radicalmente il modo di vivere allontanandosi il più
possibile dai modelli di comportamento che per secoli
avevano dovuto tenere.
Dopo l’unità d’Italia, pur mantenendo le loro
peculiarità religiose e l’organizzazione delle varie
comunità la loro storia non è distinta da quella del
resto della popolazione. L’integrazione nella società
divenne pressoché totale e, sfogliando gli archivi è
possibile trovare ebrei impegnati in tutte le
professioni.. I rari episodi di intolleranza e
antisemitismo non modificano la sostanziale parità
raggiunta.
La vita degli ebrei a cavallo fra il XIX e il XX sec.
mostra un progressivo decadimento culturale e religioso.
L’integrazione raggiunta e la relativa libertà vennero
bruscamente interrotte e sconvolte dall’emanazione delle
leggi razziali del 1938. Il regime fascista imponeva
nuovamente, dopo cento cinquant’anni, restrizioni che
condizionavano la libertà e la vita sociale. Molto più
pesante nell’Italia settentrionale che in quella
meridionale l’applicazione delle leggi e molti si videro
costretti a lasciare l’insegnamento, gli uffici
statali,l’esercito e le professioni. A Siracusa le
famiglie dichiarate erano solo tre, ma non si hanno
notizie della loro deportazione.
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